inaugurazione: sabato 5 marzo2016 hh 17.00
TI RACCONTO DI ME :: LAURA GATTA
Questo progetto nasce dall’idea di voler aiutare attraverso la fotografia e dall’incontro con Ilaria, educatrice della comunità psichiatrica La Rondine; da questo inizia l’avventura di “Ti racconto di me”, progetto fotografico creato in simbiosi con alcuni utenti della stessa comunità, che con la loro voglia di raccontare di sé, con l'ambizione di dare voce alle loro storie, storie che, in alcuni casi, per molto tempo hanno riposato sotto una coltre rassicurante di oblìo e routine, sono diventati protagonisti del progetto.
In questi scatti, la malattia passa in secondo piano; gli utenti, prima che essere malati, sono
persone. Il progetto, vuole andare a scalfire lo stigma che la malattia mentale porta con sé, ma anche
l'autostigma, al quale troppo spesso le persone che soffrono di un disturbo si accompagnano, nel tentativo di rispondere alle aspettative di chi le circonda; non vuole perciò rappresentare direttamente la malattia mentale, anche se questa vi rientrerá per forza di cose.
Questo progetto è dunque il racconto autobiografico di alcune persone che, attraverso le immagini, decidono di raccontarci qualcosa della loro vita, nella quale il sintomo non é che una parte. La prima fase del percorso ha avuto lo scopo di definire con i protagonisti e il fondamentale supporto di Ilaria, cosa avremmo potuto fare unendo le risorse e le idee a disposizione. Nasce in questa fase il titolo “Ti racconto di me”, su suggerimento di uno di loro; suggerimento raccolto, che subito ha sostituito il titolo originale del progetto "Raccontami di te". Una piccola e fondamentale sottigliezza che meglio rende l'idea. L'idea appunto che siano loro, oltre che soggetti fotografici, anche narratori del loro desiderio di raccontarsi. Il racconto di sé si svela attraverso tre diverse tipologie di fotografia, diverse ma tutte utili all'obiettivo.
La tecnica dello still-life permette di dare valore a tre oggetti, scelti dalla persona in quanto rappresentanti e testimonianze significative della propria storia, che vengono fotografati singolarmente su di un drappo verde (che nella simbologia dei colori rappresenta la vita). Questi oggetti emergono tra le pieghe e le difficoltà della vita (il drappo) e, nel renderli al massimo della loro bellezza, si vuole evidenziare il valore e il peso che hanno acquisito nella storia personale. Ognuno di essi è accompagnato da una didascalia nella quale il protagonista ci apre una finestra su cosa l'oggetto rappresenta per lui. Tre flash per raccontarci di una vita...
Una cosa apparentemente banale e divertente allo stesso tempo, ma che ha celato in sé delle difficoltà non minime: quale oggetto è meglio scegliere? Perché? Oggetti che non per forza devono essere legati alla vita in comunità e quindi alla condizione attuale ma anche oggetti legati alla vita " precedente la malattia". Lo spettatore è sollecitato a chiedersi quanto devono aver contribuito questi tre oggetti a costruire l'identità personale, per essere eretti a suoi rappresentanti. Nel cercare l'estrema resa estetica nella rappresentazione degli oggetti, si vuole riconoscere massima dignitá e valore alla parte di storia che questi portano con sé, in una forma di cura e accoglienza del passato di ciascuno come componente indivisibile e costitutiva dell'individuo attuale.
A queste fotografie più concettuali viene affiancato un ritratto, nel quale emerge come gli stessi protagonisti si vogliono mostrare ai miei occhi e all’occhio della macchina fotografica, come si sono voluti relazionare con la mia presenza e cosa di sé vogliono mostrare. Questa fotografia costituisce una loro immagine meno concettuale e più rappresentativa sotto l'aspetto visivo. A conclusione della serie, abbiamo previsto un autoscatto: l'idea è quella che i protagonisti siano liberi di muoversi davanti alla fotocamera e di scattarsi una fotografia nel momento in cui lo ritengono necessario. E' il soggetto a scegliere il momento giusto per scattare, il momento in cui ritiene di essere pronto per raccontarsi. La cornice teorica di questo approccio ci dice che “Alla base del bisogno di auto-ritrarsi, c’è l’esigenza di rappresentare all’esterno, l’immagine del proprio mondo interno così come si immagina che dovrebbe essere vista agli occhi degli altri.” (Stefano Ferrari).
Questo scatto ha permesso ai partecipanti di essere parte attiva nel progetto, non solo come soggetti ma anche come autori. 5 immagini che "ti raccontano di me", 5 immagini che puntano a raccontare subito della persona e non della malattia. A compendio di questo lavoro è stato realizzato un reportage, una forma di back stage del progetto. Un reportage intrinseco al progetto stesso. Un secondo fotografo, Damiano Baccherassi, ha collaborato con noi. La sua figura non aveva lo scopo di documentare la vita della comunità e degli utenti o la loro "condizione", la sua figura è stata invece fondamentale per la documentazione del progetto stesso. "Lui è qui per fotografare il nostro lavoro, e non è qui per fotografare la vostra vita". Anche se le cose si sovrappongono ed hanno ampie parti comuni, cambia la prospettiva di coloro che vengono fotografati, e attraverso gli scatti di backstage lo spettatore viene portato a ripercorrere il percorso fatto dai partecipanti. Tutti questi scatti, questi racconti di persone, sono a conclusione incorniciati dai ritratti degli operatori della struttura, che delineano il loro spazio di vita attuale e che rappresentano il prendersi cura (“care”) di loro per una parte del cammino.
Laura Gatta
I concetti fondamentali che identificano e connotano il progetto “Ti racconto di me” – l’immagine e il punto di vista tra interiorità ed esteriorità, il racconto di sé e della propria identità - si prestano a molteplici ed interessanti letture, quando affrontati nei luoghi e nei servizi per la salute mentale.
Quando Laura, Ilaria e Damiano hanno proposto il progetto alla CPA La Rondine, un servizio residenziale ad alta protezione ospitante 10 persone con patologia psichiatrica gestito dalla cooperativa sociale LIberaMente, è stato da subito evidente quanto l’operazione potesse essere tanto utile e coinvolgente quanto pericolosa. Sull’utilità ed il coinvolgimento, oltre a quanto già scritto da Laura, non possiamo che confermare la piena, entusiastica adesione di tutti gli ospiti della comunità, che hanno utilizzato l’opportunità offerta per riflettere su di sé e proporre le scelte sugli oggetti rappresentativi della propria personalità, come “ponti” tra mondo interiore, soggettività e mondo esterno. Sulla “pericolosità” invece occorre soffermarsi un poco di più.
Non la intendiamo qui in senso clinico o psicopatologico, in quanto la scelta era veramente molto libera, e quanto emerso in sede di proposizione e realizzazione del progetto con gli ospiti non è stato utilizzato dal servizio - che ha semplicemente messo a disposizione luoghi e mezzi - con finalità riabilitative, cliniche o
analitiche. Ci si riferisce invece al rischio di proporre un prodotto ricoperto dalla ormai consueta patina
oleografica che riveste iniziative consimili, una crosta fatta di buonismo, buoni sentimenti, political
correctness, che tanto preserva la nostra tranquillità di persone normali quanto tacita il senso di fastidio e dissonanza che fa avvertire la diversità come elemento perturbante. O al pericolo opposto, quello di voler urtare consapevolmente le coscienze con la forza bruta della “verità”, con racconti spiazzanti, eccessivi, che proprio in forza della urgenza espressiva possono diventare grotteschi e quindi deformanti la realtà. Per noi era chiaro fin da subito che il progetto non era dunque né denuncia, né pubblicità, né propaganda, e neppure lotta allo stigma, ma semplicemente una esperienza artistica, nel suo più puro significato di attività espressiva di un sentimento, una storia o un modo di essere, reinterpretata (favorita? permessa? facilitata?) da una professionista del mezzo espressivo fotografico.
Ruggero Radici
MOSTRA NEL CASSETTO: SAN FAUSTINO NEL PASSATO
esposizione dal 5 marzo 2016 | inaugurazione: sabato 5 marzo 2016 hh 17.00